Sono dappertutto: per le strade di New York, per i vicoletti di Londra, per i viali alberati di Parigi. Sulle passerelle. Si riconoscono per un muto codice estetico, quello che non segue regole precise eppure le detta, consapevoli del fatto che sono loro i capibranco adesso. E le loro regole sono fatte per i coraggiosi, per coloro che non hanno paura delle conseguenze. Per chi se ne frega di essere giudicato, indicato, condannato. Perché sa che è destinato a vincere. È la tribù metropolitana che ha sfilato nella Ville Lumière, dove per la prima volta è uscita alla scoperto in modo plateale (di)mostrando che la young generation più cool si sente unita sotto la stessa bandiera stilistica e soprattutto è talmente forte non solo da essere in grado di creare nuovi brand che diventano immediatamente oggetti del desiderio di tutti, ma anche di influenzare i grandi nomi del lusso, che consapevolmente o no guardano a questo nuovo pubblico come al target più importante per i loro prodotti, e ne acquisiscono quindi i codici e il linguaggio, complice anche il fatto che alle direzioni creative si succedono sempre di più i giovani talenti.
Basta pensare a Fenty, il marchio di Rihanna + Puma: fino a qualche anno fa sarebbe stato classificato come l’ennesimo tentativo di una celebrity di sfondare nella moda, nel 2017 invece il suo show è, a ragione, considerabile come uno di quelli che più rappresenta la tendenza del momento senza essere nemmeno troppo asservito al dogma del “si disegna quello che si vende facilmente”. Piumini colorati dalle maniche extra lunghe, stivaloni da pescatore, felpe cortissime oppure giganti, con il cappuccio e le iniziali: sono i capi del college e del preppy americano ma rivisti in chiave nuova, con un accento grintoso e per niente da studente modello, specialmente quando sono in versione total black e vagamente gotico. Sono capi forti, anche quando estrapolati dallo styling estremo della sfilata, eppure a guardarli si riconosce quello che siamo abituati a vedere per strada e soprattutto su Instagram, addosso alle celebrity che adesso come adesso rappresentano le style icon per eccellenza, dalle sorelle Jenner ad, appunto, Rihanna.
È uno stile che rubacchia un po’ da tutte le epoche ma per poi ritagliarsi uno spazio suo, immediatamente comprensibile alla generazione dei Millennials che amano sì i brand del lusso tradizionale ma che sono anche i principali sostenitori del nuovo, ovviamente in linea con il loro gusto. E i marchi del nuovo cool sfilano per la maggior parte a Parigi: da Unravel a Off-White, da Y/Project a Vêtements, il cui direttore creativo Demna Gvasalia non a caso è anche alla guida di Balenciaga. Li accomuna un modo diverso di creare un look, giocando con i capi come se fossero bambini davanti allo specchio, con un approccio naif che rende possibile quello che per il senso comune è quantomeno strano. E che restituisce alla moda quel senso di gioco che a volte si perde. Dunque la felpa diventa sciarpa (Y/Project), il giubbotto di jeans si indossa come un mantello, abbottonato solo sotto al collo (A.P.C.) e nel caso facesse freddo ci portiamo dietro una coperta da casa, tanto c’è una borsa gigante in cui ficcarla (Céline). La giacca si indossa al contrario, con i bottoni dietro (Acne Studios) e il cappotto si abbottona storto, così da formare una nuova silhouette (Balenciaga).
Lo styling è un elemento essenziale, perché si gioca soprattutto a sovrapporre i capi in modo spontaneo, senza limitazioni dettate dalla logica o dalle possibili circostanze. Un vestito lungo ed etereo si indossa ormai con combat boots e collanine etniche e magari un makeup piuttosto grintoso (Valentino), i giubbotti imbottiti da montagna anni Sessanta sono perfetti con dei maxicolli di pelliccia e delle scarpe in velluto con la fibbia preziosa (Miu Miu), la T-shirt vintage con il lupo è il capo feticcio dei serie tv addicted – vi ricordate la felpa che Hope indossa in The OA? – che ispira un look da squaw urbana (Balmain).
E in effetti a pensarci bene, più che uno nuovo stile, si tratta di un modo di approcciarsi alla moda, che in un certo senso è anche liberatorio dato che è basato sul “mi metto quello che mi pare, come mi pare”. E forse è proprio questo il senso delle ultime passerelle di Parigi: comunicare il messaggio che i giochi sono cambiati, e che, piaccia o no, adesso si balla una nuova musica.