Fashion - April 6, 2021

TBS Meets Matteo Ward, Co-Founder di Wråd

Se vi doveste trovare a dover scegliere tra l’utilizzo di risorse naturali limitate per la sopravvivenza o per la produzione di abbigliamento non necessario, cosa scegliereste? Matteo Ward, co-founder di Wråd insieme a Victor Santiago e Silvia Giovanardi, lancia al mondo una domanda, la cui risposta può sembrare scontata, ma evocativa, purtroppo, di una realtà che tutti i giorni è sotto gli occhi di tutti, e di cui molti inconsapevolmente sono complici. Wråd Living, concepita con lo scopo di sfidare, senza mezzi termini, uno status quo non più sostenibile, nasce nel 2015 come progetto educativo per diventare oggi una realtà a 360 gradi, che senza mezzi termini porta alla luce un problema: l’impatto del fashion sull’ambiente e sul sociale. Progetto educativo, brand, magazine, hub di ricerca ma anche lifestyle, Wråd è una realtà affascinante da cui tutti, proprio tutti, potremmo imparare qualcosa circa la ri-definizione di uno stile di vita che sta uccidendo il nostro pianeta. Abbiamo incontrato per voi Matteo, per farvi scoprire un mondo che presto, si spera, diventerà la nuova normalità. 

TBS: Wråd si propone come una sfida allo status quo, partita da una crisi globale, attraverso l’innovazione sostenibile, da quali esigenze è nata e cosa la differenzia dalle altre proposte? 

Matteo: L’esigenza nasce dal fatto che per diversi anni, agli inizi della mia carriera nel mondo del retail e abbigliamento, ho fatto parte del problema senza rendermene conto. Difatti, prima di avviare WRÅD, ho lavorato per 6 anni come Sr. Manager e Co-Chair del Diversity and Inclusion Council per Abercrombie and Fitch. Nel 2012-2013 ho iniziato per la prima volta a metabolizzare quale fosse il reale costo sociale e ambientale del nostro settore – una verità che mi ha spaventato e che diventava sempre più difficile per me ignorare. E che mi da modo soprattuto di capire che ciò che stavo facendo, ormai, non era più allineato con la persona che volevo essere. Quindi la decisione nel 2015 di mettere in discussione il mio status quo, licenziandomi, e di dar vita assieme a Victor Santiago e a Silvia Giovanardi a WRÅD. Nasce inizialmente come progetto educativo: il primo obiettivo era generare consapevolezza per dare a tutti gli strumenti di rivoluzionare il sistema con la conoscenza. Da lì siamo diventati poi start-up innovativa nel 2016 grazie all’investimento e partnership dell’azienda Alisea Recycled and Reused Objects Design e, infine, brand e studio di design nel 2017. L’unicità di WRÅD sta proprio in questo: non essere un brand ma una realtà che nasce per dare a tutte le persone che lo desiderano la possibilità di mettere in discussione lo status quo non più sostenibile del fashion system attraverso progetti che sfondano i confini tra prodotto e servizio. 

TBS: Wråd è un brand, un magazine ma anche una vera e propria filosofia di vita, potresti spiegarci più dettagliatamente in cosa consiste questo universo e come è suddiviso? 

Matteo: Abbiamo tre anime sinergiche e complementari, Education, Innovation e Design, fatte di persone, aziende, istituzioni, ambassador, NGOs, artisti, attivisti, studenti, educatori, imprenditori e politici uniti tutti nella loro diversità dalla voglia di rivoluzionare il sistema con noi e attraverso di noi. Questo ecosistema simbiotico rappresenta il nostro universo – un universo magico, capace davvero di risultati fuori dall’ordinario, perchè animato dal desiderio di restituire al design la capacità di rispondere alle reali esigenze delle persone. 

Il nostro agire ha sempre uno scopo educativo in primis: dal 2015 lavoriamo pro-bono per distribuire workshop sulla sostenibilità del tessile nelle scuole e università italiane ed estere. Nel 2019 siamo arrivati a 11,000 studenti e collaborazioni con 102 paesi e 16 università. Consapevoli che l’educazione da sola non può bastare per creare una rivoluzione sistemica siamo molto attivi con i nostri partner sul fronte della ricerca e sviluppo per l’innovazione. Non basta sostituire un materiale al prodotto per poterlo definire sostenibile, bisogna re-inventare il sistema intero e ridefinire il ruolo dell’abbigliamento nella società. Per farlo dobbiamo darci la possibilità di immaginare, scrivere e provare nuove formule. Il design, la nostra terza anima, è il nostro campo di sperimentazione di idee per un futuro che, dobbiamo esserne consapevoli, non può più permettersi di assegnare risorse essenziali alla sopravvivenza dell’umanità sul Pianeta alla produzione di centinaia di miliardi di vestiti ogni anno. 

TBS: Uno dei vademecum nonché obiettivo di Wråd è quello di apportare un cambiamento a livello sociale, quale pensi che sia ad oggi il metodo migliore per attivarlo? 

Matteo: Più che di metodo parlerei di un sentimento che sembra essere andato perduto: l’empatia. Essere in grado di riconnettersi con chi ci sta attorno e con il mondo, capirne e condividerne lo stato d’animo, i valori e necessità e usare tale comprensione non per vendere prodotti o servizi di cui nessuno ha bisogno, ma per risolvere i problemi in modo inclusivo. Questo cambierebbe molte dinamiche sociali oggi ingiuste e squilibrate del sistema moda. Poi, in termini pratici, penso che oggi per le aziende private, per i brand, uno strumento fondamentale, ancora poco utilizzato come servizio sociale, sia la comunicazione. E non parlo di qualche post sporadico dedicato a temi sociali per spingerci comunque ad acquistare altro prodotto di cui non abbiamo bisogno. Parlo di comunicazione come viva interazione, come dialogo per ispirare e attivare realmente una nuova generazione di persone ad alzarsi ed incazzarsi se serve per la tutela della nostra salute, della giustizia sociale e dei nostri diritti. 

TBS: Nell’articolo Libertinismo Ecologico pubblicato sul magazine si dice che il termine sostenibilità sia utilizzato in maniera fuorviante e superficiale, come se fosse usato solo per fare storytelling dalla maggior parte dei brand, in che modo il vostro è invece un approccio più concreto e profondo degli altri? Quali sono gli strumenti che si dovrebbe utilizzare per una rivoluzione davvero sostenibile?

Matteo: Come scrive l’autore di quell’articolo e nostro primo ambassador, Alvise Bortolato, “in un’epoca sempre più virtuale, il rischio di uno storytelling fuorviante e superficiale è concreto e gli strumenti per difendersi sono scarsi”. Non darsi il tempo e privilegio di provare a comprendere la complessità delle parole “moda sostenibile” è rischioso perchè si rischia, come sta avvenendo, di vendere bugie o, peggio, l’illusione di fare qualcosa di buono per il Pianeta quando in realtà stiamo magari facendo l’esatto opposto. Dal nostro punto di vista, se ci fermiamo un attimo a ragionare sul reale significato di sostenibilità, è difficile oggi poter affermare che esista davvero un brand che fa moda sostenibile – non esiste. Esistono altresì brand più o meno responsabili, dal punto di vista ambientale e/o sociale. E, per quanto riguarda noi, non ci siamo mai presentati infatti come brand di moda sostenibile, non ci sentiamo a nostro agio con tale definizione. Forse il nostro approccio può dunque risultare più concreto per questo, non lo so, dovremmo chiederlo alla community. 

TBS: Essere sostenibili nel 2021 sembra essere diventata una conditio e non più un’innovazione, pensi che questa possa essere la conseguenza su cui molti brand hanno marciato per riprendersi dopo la crisi creata dalla pandemia? 

Matteo: Penso che la pandemia abbia rafforzato in tutti noi il desiderio di riconnessione con ciò che riconosciamo essere davvero importante: famiglia, comunità, ambiente. Nel 2020 i brand hanno risposto in modo diverso bombardandoci di newsletter e messaggi autoreferenziali, una gara a chi è più green o a chi ha più capi riciclati in collezione – una noia mortale, molto spesso frustrante, a volte in realtà pure interessante, ma che in generale ha creato molta confusione. E’ bene che tutti noi ci chiediamo come responsabilizzare il proprio operato, non si smette mai di imparare perchè siamo in transizione. Ma la responsabilità d’impresa non è una cosa che si fa a suon di conferenze stampa e piani editoriali. É manifestazione di una cultura profonda che deve essere trasmessa dalle persone e con i fatti. 

TBS: “Wråd is not a brand, it’s our call to action” Potresti commentarmela? 

Matteo: Letteralmente non nasciamo come brand ma come movimento educativo per ispirare persone come noi a dare alla propria visione per il futuro una chance. Per dare a tutti noi la possibilità di “challenge the status quo”. Il brand WRÅD è stato il risultato di un percorso, il manifesto di una metodologia di lavoro fondata sull’innovazione di pensiero, processo e prodotto. 

TBS: A livello di prodotto, quali sono le innovazioni sostenibili apportate dal vostro brand? Cosa puoi dirci della collezione?

Matteo: Abbiamo sviluppato una tecnologia, g_pwdr technology, grazie alla partnership con Alisea Recy- cled and Reused Objects Design che ne ha poi registrato il brevetto. Questa si basa sul recupero di polvere di grafite, sottoprodotto della produzione di elettrodi, altrimenti dismessa in discarica per la tintura dei capi. E’ un processo che conferisce ad ognuno di noi il potere di riciclare un ma- teriale nobile semplicemente indossando i vestiti. E’ inoltre atossico per la pelle, sostituisce i pigmenti chimici ed è un’innovazione che recupera un piccolo pezzo di storia tessile italiana – i primissimi a tingere con la grafite furono infatti gli Antichi Romani più di 2,000 anni fa, tradizione che ci è stata tramandata dai cittadini di Monterosso Calabro (Calabria) dove fino agli anni 40 ancora si tingeva con la grafite come nell’Antichità. Questa tecnologia è stata utilizzata anche per la no- stra ultima collaborazione avviata con Fiat per il lancio della Nuova 500 nella sua versione elettrica, dove ogni capo è tinto con la polvere di grafite recuperata anche dalla produzione dei loro elettrodi. 

TBS: Guardando al futuro, quale pensi che sarà il percorso intrapreso delle aziende della moda? La sostenibilità sarà la nuova normalità? E se sì, sarà reale? 

Matteo: La sostenibilità, più che la nuova normalità, sarà una necessità imposta dai limiti del sistema ambientale e sociale e, mi auguro, da quello normativo. Penso che sarà necessariamente reale perchè, senza mezzi termini, non c’è più acqua per sostenere sia la produzione tessile che la sete di miliardi di persone nel pianeta. Se dobbiamo scegliere come allocare delle risorse limitate tra settori essenziali per garantire la sopravvivenza dell’uomo e altre forme di vita e settori dedicati alla produzione di abbigliamento, secondo voi cosa faremo? Non avremo scelta. L’innovazione dei materiali e dei processi produttivi potrà aiutarci, la struttura di un’economia circolare sarà determinante ma, a mio avviso, andremo incontro anche ad una rivoluzione totale del significato e ruolo dell’abbigliamento nella società – una rivoluzione che prediligerà la funzionalità. 

I progetti di Wråd sono in continua evoluzione! Stay tuned perché presto vi faremo scoprire un’altra novità frutto di una collaborazione che ha dato vita a capi innovativi a partire da pezzi vintage, che siamo sicuri amerete.

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