Raccontare Alexander McQueen senza dire qualcosa di superficiale o di scontato non è facile: la sua storia personale e la sua arte erano così strettamente connesse che sarebbe impossibile parlare dell’una senza citare l’altra e viceversa. Dagli esordi nelle botteghe sartoriali di Savile Row dove si rifugiava per sfuggire alle botte del padre e dove ha trovato un rigore e un ordine che gli era necessario lavorativamente ma soprattutto personalmente; alla ricerca, prima da Givenchy e poi con il suo marchio, di una bellezza scioccante a confine tra luce e oscurità, sempre strettamente legata alla vita e alla morte (quella di Isabella Blow, la sa musa ispiratrice e mentore, è stata quella a cui non si è mai rassegnato). Se parlare della moda come arte ha un senso, Alexander McQueen ne è l’esempio più lampante: ogni sua sfilata era una performance visiva di cui gli abiti talvolta non erano che una conseguenza. E come l’arte e l’artista sono indissolubili, così attraverso le collezioni di McQueen si può leggere la vita del suo autore, sempre più schiacciato da un’angoscia a cui si è abbandonato nel febbraio del 2010, per trovare finalmente la pace nel buio di cui aveva sempre cercato di mostrare la bellezza. Mentre a Londra inaugura la mostra Savage Beauty che ne racconta il genio, noi lo celebriamo con una gallery che ne ripercorre la vita e la carriera.