Di solito, di ritorno da un viaggio penso sempre ad una parola che descriva l’esperienza vissuta e i luoghi visitati. Questo viaggio tra Thailandia, Cambogia e Vietnam l’ho sognato da talmente tanto tempo che avevo già pensato ad una parola (anzi due) prima ancora di partire: amici + zaino in spalla. La verità è che l’esperienza non è mai quello che ci si aspettava prima di partire, e così magicamente le parole che avevi pensato l’avrebbero descritta a non sono mai sufficienti a descriverla.
Primo step: Bangkok. Arriviamo nella capitale della Thailandia alle 2 del pomeriggio, giusto il tempo di goderci qualche ora di relax presso l’hotel e prepararci per la serata. Da veri turisti un po’ fan dei cliché ci concediamo un aperitivo al Sirocco, skybar famoso per la location mozzafiato al 63° piano del Lebua Hotel, ma ancora più famoso per aver ospitato alcune scene del film una notte da leoni 2. La sensazione è effettivamente quella di essere su un set, in scena uno spettacolo meraviglioso. Altissimi grattacieli illuminati, e due grandi fiumi: il Chao Phraya (quello vero), le auto incolonnate (quello dorato). Il modo speciale di Bangkok di darci il benvenuto. Il giorno successivo partiamo alla scoperta dei luoghi più famosi della città: il Wat Phra Kaew; il gran Palazzo Reale con la luce del sole che si riflette sulle innumerevoli pareti dorata che mi dà la sensazione di passeggiare in un’aurea magica; il Wat Pho e il famoso “Sleeping Buddha”. L’ultimo giorno lo dedichiamo alla scoperta dei quartieri e degli abitanti della città: Chinatown con i suoi negozi di orafi e il cibo di strada di giorno, la famosa Khao San Road la sera, dove ci lasciamo coinvolgere dall’atmosfera di festa. Al termine della prima tappa decido che la mia parola per Bangkok è CONTRASTO: quello tra i grandi templi solenni e ordinati e i quartieri rumorosi e affollati di persone, che si muovono velocissime in spazi che sembrano improvvisamente piccolissimi.
Partiamo per il Vietnam: un breve volo interno e siamo a Hanoi. Prenotiamo un tour organizzato con i ragazzi di “Ciao Vietnam”, un’associazione di giovani studenti vietnamiti che studiano l’italiano e che in cambio della visita guidata non chiedono nulla, se non di fare esercizio di conversazione. In una giornata ci mostrano le meraviglie di Hanoi, dal mausoleo di Ho Chi Minh al tempio della letteratura, mentre la sera ci accompagnano in un giro gastronomico della città. Nel quartiere vecchio ordiniamo Buncha (tipica zuppa di spaghetti vietnamita e piatto favorito di Obama) e involtini freschi, per proseguire poi in una in una storica caffetteria nel quartiere vecchio (rimasta esattamente come era 40 anni fa) e ordinare il tipico caffè all’uovo. Dopo il primo giorno so già quali sono le mie parole per il Vietnam: MOTORINI la prima, SOBRIETÀ la seconda. Il perché della prima parola è facile da spiegare: basti pensare che per una media di circa 10 milioni di abitanti che popolano in media le grandi città, 9 milioni di vietnamiti posseggono un motorino. Attraversare le strada è un grandissimo atto di coraggio, bisogna essere decisi e veloci. La mia seconda parola invece è per le persone: un popolo da poco abituato al turismo, ma con un grande e pacato spirito di accoglienza accompagnato da una meravigliosa fierezza che deriva dalla loro storia.
Il giorno seguente, grazie a un meteo favorevole non scontato in questa stagione, ci imbarchiamo per una crociera di due giorni nella Baia di Halong. Qui scopriamo un altro Vietnam fatto di mare e natura incontaminata. Tornati dalla crociera ci attende Ho Chi Minh City, la vecchia Saigon. Dopo la guerra la città è stata completamente ricostruita e ora è quasi tutta alti palazzi e modernità. Ci dedichiamo a un Tour della città fai da te a piedi che comprende tutti i luoghi iconici della città tra cui City Hall, l’ufficio postale centrale, la cattedrale di Notre Dame, il Palazzo della Riunificazione. In cerca di scorci ancora più autentici raccogliamo il consiglio di un tassista e visitiamo la vecchia via dell’artigianato adiacente al mercato di Ben Thanh dove acquistiamo qualche (vero o presunto) cimelio risalente al famoso conflitto con gli americani. La nostra prossima tappa è il tunnel di Cu chi: si trova a 30 km da Saigon ed è è uno dei distretti che durante la guerra ha subito maggiore devastazione a causa dei bombardamenti e degli avvelenamenti. Cu Chi ospita la più lunga rete di tunnel sotterranei costruiti dai Viet Cong: durante la guerra ospitavano una vera e propria città, con cucine dormitori e sale riunioni. Questi tunnel sono percorribili e aperti per brevi tratti ai più temerari turisti, e noi decidiamo di provare a percorrerli. La sfida è difficile, e mentre camminiamo accovacciati al buio ci stupiamo al pensiero che le dimensioni attuali sono in realtà state aumentate per permettere ai tunnel di essere visitabili.
Il giorno seguente prendiamo il prossimo volo per la Cambogia. L’umidità e il caldo anche qui sono una costante, ma la folta vegetazione e la città poco trafficata rende l’aria più leggera e il clima torrido più sopportabile. La nostra prima tappa è Angkor, il sito archeologico più importante della Cambogia e uno dei più importanti del mondo. L’area ospita centinaia di templi induisti e buddisti di cui 80 sono i principali e che di molti rimangono ormai solo tracce e rovine. Non sono mai stata particolarmente amante dei siti archeologici, ma qui è diverso: appena varco la soglia del primo gruppo di templi “armata” del mio inseparabile Sarong, la sensazione è quella di una maestosità affascinante e di una spiritualità che non ha sofferto lo scorrere del tempo. Le rovine hanno la capacità di raccontarti una storia, non solo di come sono, ma anche di come erano. Il resto dei giorni e dei templi è un susseguirsi della stessa emozione. Il giorno seguente partiamo all’alba per visitare l’Angkor Wat il tempio più importante di tutto il sito e simbolo della Cambogia. La sveglia alle 4:30 è dura ma ci sentiamo molto scaltri e privilegiati. Chi si alzerebbe in vacanza a quell’ora per vedere l’alba su un tempio cambogiano? Risposta: quasi tutti i turisti presenti nel sito in quei giorni. Mi ero figurata una spettacolo privato e mi ritrovo invece a camminare al buio su un ponte galleggiante insieme ad altre centinaia di persone verso il grande prato che circondava il tempio, un po’ Woodstock e un po’ Coachella. Al termine dello spettacolo ci dedichiamo alla scoperta di altre chicche: Ta Phrom e il Ta Som, il primo famoso per aver ospitato il set di Tomb Rider (qui Angelina Jolie è quasi un simbolo nazionale, con tanto di cocktail dedicato); il secondo meno celebre ma altrettanto bello.
Dedichiamo gli ultimi giorni a scoprire meglio la città, ad immergerci nelle persone e ci rechiamo a Kulen Mountain per una autentica esperienza religiosa Cambogiana. Kulen è un’area verde e protetta poco battuta dal turismo occidentale all’interno della quale si trovano delle meravigliose cascate dove ci fermiamo per un bagno e qualche foto. Kulen è però anche e soprattutto uno dei luoghi di preghiera più importanti per i cambogiani. Qui le persone si recano per pregare, ma anche per trovare conforto nella religione e nel prossimo. Penso di aver trovato qui la mia parola per la Cambogia e per i cambogiani, una sola, fortissima: INTEGRAZIONE. Per i simboli della religiosità che si integrano con le radici degli alberi in un matrimonio felicissimo, ma ancora di più per le persone: i cambogiani e soprattutto i bambini sorridono sempre e si aiutano sempre gli uni con gli altri, senza sforzo, consapevoli che la felicità e la fortuna sono un bene di tutti. Sono le persone che hanno meno quelle che offrono di più: come Songha, la nostra guida, che ha offerto la mancia che gli avevamo destinato a un monaco buddista e a un anziano che riempiva i buchi della strada sterrata che stavamo percorrendo, per poi acquistare 4 animaletti costruiti con foglie di palma venduti da un gruppo di bimbe di 4/5 anni. Ai bambini, ci spiega, non bisogna fare l’elemosina, bisogna insegnare loro il concetto di lavoro e di ricompensa. Faccio come lui e compro 2 animaletti a una bambina cambogiana di 5 anni che mi saluta e mi parla in perfetto italiano. E il suo sorriso mi riempie il cuore. Sull’aereo che mi riporta a Milano, ho quella sensazione bellissima e malinconica che ti lasciano i viaggi che stanno per terminare. Questa sensazione mi ricorda moltissimo quella di quando leggo un libro che mi sta piacendo moltissimo: non vedo l’ora di sapere come va a finire, ma allo stesso vorrei che non finisse mai. Oggi continuo a rileggere l’ultima riga di questo bellissimo libro che è stato il mio viaggio, aspettando quello che è per me, e sono sicura anche per i miei compagni di avventura, sarà un attesissimo sequel.
Testo e foto di Chiara Magnaghi