“God can’t destroy streetwear”. Dal 2015, è questo il motto dei fashionisti. O meglio, lo è il suo acronimo GCDS, il marchio fondato dai fratelli Giordano e Giuliano Calza e diventato, in soli quattro anni, un vero e proprio fenomeno fashion e culturale. A pochi giorni dallo show che il 23 febbraio svelerà la nuova collezione Fall-Winter 2019, il direttore creativo Giuliano Calza si è seduto con The Blonde Salad per una chiacchierata in cui ci ha raccontato tutto di lui, dal suo background alle sue ispirazioni… fino a Chiara Ferragni. Non perderti la nostra intervista!
A differenza di molti creativi con un curriculum lineare tra scuole di moda e atelier, il tuo percorso e la tua formazione ti rendono quasi una “mosca bianca” nel fashion system. Quanto pensi che il tuo background ti abbia aiutato a emergere, proponendo uno stile differente da quanto già visto altrove?
Ho sempre avuto questa voglia di evadere, ma non in termini di trasgressione, quanto nel riuscire a misurarmi con quello che per me era ed è il mondo… o più o meno. Sono sempre stato molto spaventato dall’idea di non riuscire a realizzare i miei sogni. Sicuramente credo che non essere cresciuto in un environment esclusivamente moda mi abbia dato una differente prospettiva, un’inquadratura sul mercato e un branding che non avrei trovato su alcun libro. Finita l’università, ho sfruttato qualsiasi occasione per mettere da parte esperienza: uffici stampa, appendere campionari, DHL, stylist, casting director, senza mai smettere. Dalla mia, ho sempre avuto la sicurezza di possedere un’intelligenza creativa, quindi ho cercato di ritagliarmi sempre delle situazioni in cui potessi utilizzare le mie doti artistiche e di comunicatore e strutturare un personalissimo senso estetico.
GCDS: quanto la parola “streetwear” ti rappresenta tanto da inserirla nel nome del tuo brand?
Sono nato a Napoli in Vico Stella N°10, nel quartiere Sanità, e i primi 13 anni della mia vita sono stati ambientati in un vicolo. Ho vissuto poi a New York come studente, in Cina come universitario in un mega campus con mini room, ancora altri 4 anni a Shanghai, lavorando e cambiando ogni mese quartiere seguendo il nuovo ristorante da ristrutturare. Ci sono state molte strade, molti personaggi ambigui e molte tenute streetwear.
Quando hai capito che il tuo destino sarebbe stato quello di dare vita a un tuo brand?
Ci sono state due occasioni. La prima volta quando lavoravo in un ufficio stampa e creai l’allestimento natalizio dello showroom, stupendo tutti per la minuziosa attenzione. Erano tutti stupiti, come se avessi fatto una magia. Il mio responsabile mi suggerì di creare, invece che sistemare dei pezzi. La seconda ancor più nitida, quando vivevo a Shanghai per la seconda volta e, molto affaticato dal lavoro che facevo, dissi a mio fratello: “Sento che questo non è il nostro progetto, ma che ce ne sarà un altro”. Ho da sempre creduto in GCDS, anche prima di sapere cosa sarebbe successo.
GCDS è una storia virtuosa italiana e familiare. È davvero difficile per un brand emergente mantenere una dimensione autentica, anche a livello finanziario? Quanto vi “costa”, a livello economico ma soprattutto di impegno, restare italiani e indipendenti?
Continuo a credere che la vita in Italia sia la più dolce, e non per un cliché. Credo che la situazione politica e la gestione economica del paese non aiuti i giovani. Restare in Italia è sicuramente complicato, ma ho già abbandonato l’Italia, e tutto il mondo è paese. Almeno restando qui, approfitto dei lati positivi che conosco e affronto problematiche che avrei comunque incontrato, magari con differenze linguistiche e culturali.
Quali sono i brand che ti hanno ispirato maggiormente come creativo?
Sono cresciuto in Italia, quindi molto lo devo alle signore borghesi che oggi sono ormai estinte e ai ragazzini delle scuole e delle università. Quando avevo 10 anni e mio fratello 14 ero continuamente sollecitato dal suo mondo, pieno di riferimenti a basket, sneakers e Chicago Bulls. Dall’altro lato c’erano i miei, una psicoterapeuta in tailleur e un padre in abiti sartoriali che lavorava in una multinazionale. Ricordo delle enormi spille di Chanel e tante stampe di Hermès, che arrivavano per Natale come regalo dai pazienti. Dopo essere diventato un nerd di fumetti, sono diventato un nerd di kicks e brand d’oltreoceano. Sono cresciuto con un momento punk, poi trasformatosi in adorazione per Alexander McQueen, seguito da un momento street durante il quale collezionavo Fubu, Prada, Cottweiler, Stussy e consideravo Castelbajac arte. Condito, naturalmente, da un interesse spiccato per l’iper femminismo di Versace e Dolce & Gabbana. Credo poi che Craig Green sia uno degli ultimi designer del nostro tempo.
Tre parole per descrivere l’estetica GCDS.
Indipendente, kitsch in un senso ironico o eccessivo, e royal street, come uno streetwear nobilitato.
Sei nato a Napoli, hai vissuto a Shanghai, hai sfilato a New York e oggi a Milano e ti vediamo spesso in giro per il mondo. C’è una città che più ti rappresenta o che ti ispira di più?
Mi sento a casa a Shanghai, adoro la cucina e i tempi della città e parlando la lingua riesco ad avere sempre interazioni che nascono con stupore o con una risata del mio interlocutore. Manhattan è il rifugio nei momenti più agitati e anche la cornice dei più divertenti. In generale, mi sento bene quando viaggio.
Il vostro brand è stato tra i primi a credere nel potere virale dei social. Pensi che la vostra storia sarebbe stata differente se non aveste scommesso su un canale come Instagram? Oltre a raccontare il tuo brand, in che modo utilizzi i social dal punto di vista creativo?
Credo che in parte GCDS abbia accelerato grazie al potere dei social, ma ci sono tanti altri fattori. Onestamente però, in questo momento storico, sarebbe stato cieco voler evitare questo mezzo così potente. Io utilizzo in maniera molto spensierata i miei social, utilizzo lo stesso tono casual e reale che ho nella vita. Credo che i social siano un grosso ostacolo nel creare del valore e del “nuovo”: è una macchina progettata per non farti sentire mai a tuo agio o per farti staccare da quello che “la rete” si aspetta, da un certo numero di like, di commenti o di amici famosi. Io non sono interessato a tutto questo e per questo le persone riescono a provare un’empatia sincera. Dal punto di vista creativo, le ispirazioni migliori arrivano da libri, foto, spazi e luoghi ancora non accessibili ai social. Io li utilizzo più per vedere quali trend sembrano sul punto di scoppiare, o da cosa tenermi lontano per non entrare nell’imbuto della banalità.
Inutile ricordare che sei tra i migliori amici di Chiara Ferragni. Ti ricordi come vi siete conosciuti? Qual è il primo capo GCDS che ha indossato?
Io e Chiara siamo amici da tanti anni. Ci siamo conosciuti in Vietnam, dove abbiamo vissuto esperienze pazzesche come in motorino nel fango per ore per andare a vedere il tramonto dall’altra parte dell’isola di Phú Quốc. In Yucatàn, pochi mesi dopo, con l’eccitazione che la contraddistingue, mi ha detto: “Dammi la felpa, la adoro e voglio postarla”. Da lì, l’interesse del web è divampato.
Abbiamo visto indossare i vostri capi a influencer come Chiara Biasi e Caroline Vreeland fino a celebrities come Dua Lipa, Bella Hadid e Pamela Anderson. In che modo credi che GCDS riesca a interagire, e a piacere, a personaggi così differenti?
Sono tutte persone che ho incontrato sulla mia strada, hanno creduto in me e nelle mie idee, e credo sia proprio questo scambio che renda così naturale il mondo GCDS, che ha tante anime e poco snobismo. Il mondo cambia continuamente e credo che oggi quello sia destinato a sparire tutto ciò che non è organico e accogliente.
È iniziato il countdown per la Milan Fashion Week. Cosa puoi anticiparci sulla nuova collezione?
Il tema dello show è PALAZZO GCDS, perché all’inizio di quest’anno abbiamo inaugurato il palazzo di GCDS. Lo abbiamo trasformato in uno show che riflette la realtà di oggi: fuori è tutto bello, mentre dentro di noi ci sono tante pressioni.
Donna, uomo, bambino, beauty… l’universo GCDS oggi è completo o c’è ancora qualche tassello su cui ti piacerebbe lavorare?
Sicuramente vorrei creare un momento in cui confrontarmi con i giovani finché sono ancora giovane io stesso. Non so cosa potrebbe essere. Non voglio definirlo un momento didattico, perché ho ancora molto da imparare, ma forse di scambio.
Oltre a Milano, vi piacerebbe aprire un altro store in Italia? Oggi quanti sono i monomarca GCDS e dove pensate di aprire in futuro?
Sono in apertura 4 negozi, di cui il prossimo a Hong Kong. Sogno Shanghai e sicuramente Napoli e Roma.
#10yearchallenge al futuro: pensando a dove si trova oggi GCDS, dove e come ti piacerebbe “fotografarlo” tra dieci anni?
Spero di essere una bella storia italiana, in un’Italia risorta. Di vivere una nuova dolce vita per l’Italia, ma fatta di nuove strade, nuovi inizi e rivoluzioni, se ce ne sarà bisogno.